domenica 2 dicembre 2012

Prima domenica di Avvento

Comincia con questa prima domenica di Avvento un nuovo “Anno liturgico”, cioè anno in cui si celebra e si rende presente il mistero di Cristo. La chiesa, infatti, celebra nel corso dell’anno l’intero mistero di Cristo: dall’incarnazione alla pentecoste e all’attesa del ritorno del Signore. In questa organizzazione cristiana del tempo, non si tratta esclusivamente di una retrospettiva su una salvezza accaduta nel passato; al contrario, il cristiano, redento nel battesimo, cerca costantemente di consolidare la propria salvezza spesso esposta ai rischi; cerca di rendere presenti, attuali, efficaci ed operanti gli eventi storici della salvezza recata da Cristo. Inoltre le celebrazioni dell’anno liturgico guardano anche al futuro; esse hanno una componente escatologica, in quanto attendono il ritorno del Signore per il definitivo compimento della salvezza.

La tensione tra presenza del Signore e attesa della sua venuta accompagna quindi la storia dei credenti in Gesù Cristo e caratterizza la loro spiritualità. La fede cristiana si realizza e si concretizza allora nell’anno liturgico che fonda e costruisce la vita cristiana. Quando la liturgia viene celebrata, Gesù Cristo, quale Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, si unisce all’assemblea celebrante in una azione comunitaria che ha per scopo la salvezza dei fedeli e la glorificazione del Padre celeste. 
In apertura di quest’anno liturgico nuovo, con l’Avvento (che significa “venuta”, e che nell’esperienza liturgica si coniuga sempre con l’“attesa”, con la“vigilanza”), il brano evangelico tratto dall’ultimo discorso di Gesù sulla sua venuta e la fine del mondo dà l’intonazione tematica alla liturgia della Parola. La prima lettura ci porta a un momento difficile della storia d’Israele. Ma un oracolo del profeta Isaia offre ai suoi concittadini una gioiosa speranza: le armi saranno trasformate in attrezzi per i campi, e sarà pace nel mondo. Quest’ oracolo di Isaia comincerà ad avverarsi solo con la venuta del Signore. San Paolo nella seconda lettura offre un richiamo severo ed urgente ai Romani. Ricorda loro che con la venuta del Signore la salvezza è stata portata a tutti gli esseri umani. Perciò è tempo di accogliere la salvezza come dono di vita, di svegliarsi dal sonno, di rigettare le opere delle tenebre, e di vivere in piena luce, comportandosi, con onestà, sotto lo sguardo del Signore. Per quanto riguarda il vangelo, esso ci scaraventa subito alla fine dei tempi e ci mette brutalmente di fronte alla venuta ultima del Signore. Infatti, l’incarnazione, che l’Avvento prepara, e la venuta del Figlio dell’uomo al tempo della fine non sono in opposizione, ma si richiamano e si illuminano a vicenda. 

Vi sono due venute del Verbo di Dio: una “oscura”, l’altra splendente di gloria, quella che dovrà venire. Il cristiano deve quindi vivere in stato di attesa e di vigilanza. E il suo atteggiamento viene sintetizzato da Matteo con un verbo caratteristico: “Vegliate”, poiché sorprendente, improvviso sarà l’arrivo del Signore. Soltanto il vegliare può evitarci di non essere colti alla sprovvista. Attendere la venuta del Signore non è quindi senza preoccuparsi della cosa fondamentale, il proprio rapporto con Dio, come i contemporanei di Noè; ma significa riconoscere di aver bisogno di salvezza, ammettere di essere peccatori e sentire l’esigenza-urgenza della conversione. E’ uno stile di vita pienamente attiva che rompe con le “opere delle tenebre”, come dice Paolo, cioè con la menzogna, l’ipocrisia, le vanità…e s’impegna nella costruzione di una città terrena più giusta, pacifica, fraterna e abitabile.

Abbè Joseph Ndoum
(tratto dalla newsletter Comboinsieme)

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